lunedì 6 agosto 2018

La Lega vuole riabilitare le Province: «Bisogna ridare il voto ai cittadini». Condivido!





La Lega vuole riabilitare le Province: «Bisogna ridare il voto ai cittadini»

di Lorenzo Salvia (Corriere dells Sera)

 Un disegno di legge presentato al Senato, firmato anche da Matteo Salvini. «Bisogna ripristinare la legalità costituzionale». Oggi votano solo i sindaci del territorio, un sistema provvisorio tenuto in piedi dalla bocciatura del referendum del 2016
Dal sovranismo alla sovranità popolare. La Lega studia il ritorno del voto diretto per le Province, rimaste sospese tra la riforma che le doveva abolire e la bocciatura del referendum del 2016, che ha finito per rimetterle in piedi, anche se zoppicanti. La linea del Carroccio è riassunta in un disegno di legge presentato al Senato, terzo firmatario l’attuale ministro dell’Interno Matteo Salvini, in compagnia di un altro ministro, Gian Marco Centinaio, responsabile dell’Agricoltura.
L’obiettivo del provvedimento, si legge nella relazione, è «ripristinare la legalità costituzionale attraverso l’elezione diretta a suffragio universale del presidente e dei consiglieri della Provincia». Tutto come prima, dunque. È vero che il disegno di legge è stato presentato prima della formazione del nuovo governo e che la questione non viene affrontata nel contratto firmato con il Movimento 5 Stelle. Ma è anche vero che il sistema per eleggere i presidenti delle Province è un compromesso superato dagli eventi, un groviglio con tanti nodi da sciogliere.
La legge oggi in vigore stabilisce che a votare non siano i cittadini ma i sindaci del territorio, che sono anche gli unici a potersi candidare. Un meccanismo di «secondo livello» che nelle intenzioni della riforma voluta nel 2014 dal governo Renzi doveva accompagnare le Province fino alla scomparsa prevista dalla riforma costituzionale. Un sistema temporaneo, che però ha confermato ancora una volta come in Italia nulla sia stabile fuorché il provvisorio. E che ha richiesto qualche correttivo anche nell’ultimo decreto legge Milleproroghe, approvato dal governo Conte e adesso all’esame del Parlamento. Qual è il problema?
Per potersi candidare alla presidenza della Provincia, in base alla legge attuale, i sindaci devono avere almeno 18 mesi di mandato davanti a loro. Una regola che di fatto tagliava fuori un terzo dei sindaci coinvolti nelle elezioni provinciali in programma nei prossimi mesi. Circa 1.300 su 3.400. Nel Milleproroghe la durata residua del mandato necessaria per la candidatura è scesa da 18 a 12 mesi, mentre le prossime elezioni provinciali sono state accorpate fra loro e anticipate al 31 ottobre. Il plotone dei sindaci incandidabili è stato ridotto. Ma è solo una toppa. Resta il problema di un sistema elettorale complicato. E anche poco logico, forse proprio perché pensato come temporaneo: il mandato del presidente, per dire, dura quattro anni; quello del consiglio provinciale, eletto dai consiglieri comunali, solo due. Una specie di mid term provinciale di cui potremmo fare a meno. Un intervento serve. Ma come?
Oggi gli incarichi di presidente e consiglieri provinciali sono a titolo gratuito. La proposta della Lega affronta anche il capitolo indennità. Lo «stipendio» del presidente non potrebbe superare quello del sindaco del capoluogo di provincia. Mentre i consiglieri avrebbero un gettone per le sedute di consiglio e commissioni, con un tetto pari a un sesto dello stipendio del presidente. Il ritorno dell’indennità sarebbe giustificato dal fatto che le Province, progressivamente svuotate di fondi e funzioni, recupererebbero una serie di competenze. Resta da vedere cosa ne pensano gli alleati di governo, così sensibili ai costi della politica. Sul tema il Movimento 5 Stelle finora non si è pronunciato. Pochi giorni fa Beppe Grillo parlava di «estrazione a sorte dei parlamentari». Le Province non contano quanto la Camera o il Senato. Ma forse, voto popolare oppure no, è arrivato il momento di decidere cosa debbano fare da grandi.

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