“Il diritto alla salute, così come
sancito nell’art. 32 della nostra carta costituzionale, è un bene comune
e perciò deve essere preservato da una logica di profitto. In tal
senso, ritengo di interpretare il pensiero della stragrande maggioranza
dei cittadini molisani che guardano al comparto sanitario regionale come
una risorsa vera e propria e auspicano che nella nostra Regione
l’organizzazione del Sistema Sanitario debba essere prevalentemente
pubblica e che il privato convenzionato debba svolgere solo una funzione
complementare e solo per alcuni servizi che il pubblico non riesce ad
erogare. In altre occasioni ho già voluto sottolineare l’importanza di
questo concetto perché va assolutamente evitato che il rapporto tra
pubblico e privato rappresenti quell’ enorme disequilibrio che vede i
debiti a carico del cittadino che invece vorrebbe pagare il giusto,
ottenere il diritto alla salute e vedersela tutelata degnamente e il
profitto a tutto vantaggio del privato.
Un rapporto che già oggi, finanziando in
questo modo la sanità privata convenzionata, fa mancare posti letto al
servizio pubblico e risorse per la soluzione dei problemi strutturali
degli ospedali e quelle per il personale e le attrezzature. Il dibattito
aperto sul riordino del sistema, quello sul Piano Operativo
Straordinario, fa emergere riflessioni che continuano ad evidenziare
criticità e problemi che non consentiranno alla sanità pubblica di
assumere il ruolo che merita rispetto alla tutela della salute del
cittadino: sembrerebbe quasi che si voglia approfittare di
questo caos, di questa disorganizzazione e di episodi di mala sanità,
per crearsi un alibi e trasformare la salute in merce da pagare a caro
prezzo! Non penso e non voglio minimamente immaginare che possa essere così.
Sui dettagli del Piano è giusto il
confronto e lascio perciò al dibattito interno avviato e agli incontri
con cittadini e addetti ai lavori le eventuali considerazioni,
ma voglio evidenziare che il mio punto di vista resta quello che il
Molise avendo il secondo indice di invecchiamento della popolazione in
Italia, deve essere in grado di portare assistenze e servizi in
prossimità dei pazienti, quelli delle classi maggiormente esposte e disagiate e perciò, l’organizzazione del Servizio Sanitario Regionale deve prevedere una impostazione meno accentrata e quindi più territoriale.
Se solamente tre Ospedali devono essere individuati come strutture per
acuti: Campobasso, Isernia e Termoli, l’attivazione delle Unità
Operative deve rispondere strettamente al parametro del bacino di utenza
con dotazione ottimale di mezzi e personale idonei al proprio
funzionamento e, poiché di strutture pubbliche ne esistono a
sufficienza, tanto da ingenerare addirittura diatribe campanilistiche, è
perciò possibile organizzare una buona offerta dei servizi all’utente,
quindi l’attività di queste Unità Operative, può tranquillamente essere
estesa sul territorio regionale con postazioni ambulatoriali che faranno
riferimento, specialmente per le attività chirurgiche, a dette Unità.
Per questo, giusta la riconversione in strutture con posti letto a bassa e media intensità di cura degli Ospedali di Larino e Venafro
che devono essere visti come punti di riferimento, ad alta incidenza di
assistenza infermieristico-riabilitativa, e di supporto fondamentale
per il territorio, proprio per quei pazienti che non hanno patologie
acute tali da richiedere un ricovero ospedaliero e quindi non gestibili a
domicilio. Per l’Ospedale di Agnone è altresì giusta la scelta di Ospedale di zona disagiata proprio per salvaguardare le esigenze di quel territorio. Mantenere
efficienti tali strutture rappresenta un’occasione favorevole anche
sotto l’aspetto economico se si pensa di favorire e attuare in maniera
seria le azioni necessarie a instaurare i cosiddetti accordi di confine
con le regioni limitrofe (Abruzzo, Lazio e Campania), intese che
permetterebbero, tra l’altro, di mantenere attivo l’indotto economico in
quelle aree che stanno registrando anche altri tipi di disagi.
Ma la eventuale, relativa mobilità
attiva, però, deve essere rimodulata in tutta la sua interezza,
coinvolgendo anche le strutture private convenzionate, in quanto, non è
giusto, a mio avviso, che per permettere a pazienti provenienti
da altre regioni di venirsi a curare nelle strutture private del Molise,
vengono utilizzati posti letto dedicati ai nostri pazienti. Se
di 100 posti per acuti accreditati a strutture private, solo 14 sono
utilizzabili per pazienti molisani e i restanti 86 sono destinati a
pazienti di altre regioni, è evidente che si resta parcheggiati su una barella per settimane o si aspettano mesi per un ricovero ordinario.
Se ciò dovesse continuare ad accadere, vuol dire che non soltanto il
vantaggio economico per mobilità attiva può considerarsi cosa effimera,
ma anche che tutta l’organizzazione sanitaria regionale, e gli strumenti
idonei messi in atto per una vera e giusta riconversione del Comparto
hanno fallito, compreso la politica che non è riuscita a garantire una
sanità migliore ai propri cittadini.
Diciamo, allora, che deve essere
rivisitata e quindi corretta l’equazione che fissa l’incidenza del
privato convenzionato, così come avviene nella media del resto del
nostro Paese, sulla fascia di incidenza che non superi il 20% in ogni
singolo settore, vale a dire: posti letto per acuti, posti letto di
lungodegenza, medicina territoriale. Anzi, in considerazione, come
detto, della presenza di tante strutture pubbliche sul territorio
regionale, con le quali è possibile organizzare l’offerta dei servizi
all’utente, tale percentuale, dovrebbe, a mio avviso, attestarsi al 15 %
del budget predefinito di spesa del Fondo Sanitario Regionale.
In tutto ciò non può non
evidenziarsi l’annoso problema del controllo reale dei servizi e dei
costi di gestione dell’intero comparto, quel controllo necessario per
poter parlare di reale produttività, efficienza e risultati.
Tornando all’organizzazione, infine, non si può non tener conto di
alcuni fattori che incidono negativamente sulla qualità dei servizi
offerti, per esempio l’annosa e irrisolta questione del personale
precario che si ripercuote, manco a dirlo, sul funzionamento delle
strutture, così come la riorganizzazione del Servizio di emergenza
ospedaliera e territoriale del 118 per un migliore utilizzo delle
risorse che in quasi tutte le Regioni italiane è gestito dai Pronto
Soccorso, permettendo così di ottenere vantaggi legati al miglioramento
del rapporto tra ospedale e territorio.
Così come per la medicina territoriale
ovvero l’assistenza domiciliare attraverso un vero e reale
coinvolgimento dei medici di base e di continuità assistenziale, per
meglio armonizzare i servizi da portare al domicilio dei pazienti. Vanno
valorizzati i percorsi per patologia (IMA, ictus, trauma, ecc) dove
deve esserci una reale continuità nella presa in carico del paziente dal
territorio fino ad arrivare nella struttura più idonea al trattamento
della patologia da cui è affetto, senza passare per altre strutture
intermedie. Va implementata la telemedicina, come supporto all’attività
dell’emergenza territoriale ma, e concludo, va implementato anche il
discorso legato alla medicina preventiva, dirottando i giusti
investimenti per riuscire a modificare gli stili di vita ed i rischi
ambientali, riducendo, nel tempo, l’incidenza di molte patologie e
quindi aggravi di costi nel comparto sanitario.
Questa, seppure non è una scelta
prettamente sanitaria, rappresenta un indirizzo politico molto
edificante nel quadro delle politiche sociali, un percorso che non può
vederci distanti da tante problematiche legate alle criticità
ambientali. Allora questa istituzione si assuma il ruolo per cui è
deputata, rendendosi capace di offrire opportunità di crescita di questo
territorio, garantendo e migliorando i servizi offerti ai cittadini,
soprattutto per quanto riguarda la salute che oggi più che mai
rappresenta un bene prezioso. La valorizzazione degli ospedali
pubblici, la riorganizzazione della rete sanitaria regionale, il
miglioramento delle strutture e soprattutto dei servizi, altro non sono
che la prova che stiamo veramente rispettando gli impegni assunti coi
cittadini: stiamo facendo, cioè, niente di più di ciò che il nostro
dovere di amministratori pubblici, ci impone di fare.”
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